Export Italia - Gennaio-giugno 2023

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Dati generali

Report a cura di Carlo Flamini – Osservatorio del Vino UIV

Il nostro Paese si presenta al giro di boa del 2023 con un po’ di affanno: i conti del semestre virano al negativo sui volumi (-1.4%, a 10 milioni di ettolitri) e restano stazionari sulla parte valore (3,8 miliardi di euro), per prezzi medi che cominciano a rientrare dopo l’esperienza iperinflattiva che aveva accompagnato tutto il 2022 e l’inizio dell’anno, chiudendo il conto a un magro +1%.

A livello di tipologie, le peggiori performance lato volume sono appannaggio dei vini fermi confezionati (attorno a -5%), seguiti dagli spumanti (-4%), mentre per ora tengono i frizzanti (+4%) e gli sfusi, che portano a casa l’incremento maggiore (+11%),  a fronte di una riduzione media dei listini attorno all’11%. Con i volumi che calano e i prezzi che rientrano, anche la colonna valori incomincia ad assottigliarsi (spumanti +3%), se non ad andare in negativo (vini fermi -3%, sfusi -1%), mentre restano positivi solo i frizzanti, che portano a casa un +12%.

Il secondo quadrimestre – per la totalità del vino italiano – porta per la prima volta dal 2021 i valori in negativo (-4% rispetto all’omologo quarto del 2022), mentre sul lato volumi si confermano i livelli medi degli ultimi trimestri del 2022, attorno a -3%, di fatto spegnendo quella timida ripresa (equivalente a 0%) del primo quarto di quest’anno.

Spumanti

Venendo al dettaglio delle tipologie, per la spumantistica il trend regressivo è ormai consolidato dal giugno 2022, con erosione sia sulla parte volumica (entrata in fase negativa dal quarto trimestre 2022 e aprile-giugno 2023 che chiude a -5%), sia su quella valoriale, planata a zero a giugno dopo aver sceso letteralmente le scale a gruppi di quattro per cinque trimestri di fila.

 

Il risultato cumulato da gennaio è dovuto sostanzialmente  al Prosecco, che fa -6% volumico e +3% valoriale. Prosecco che negli Usa oggi mostra i problemi più grossi: se a marzo i conti erano ancora - seppur moderatamente- positivi (+1.5%), nel secondo quarto le esportazioni sono crollate: -28%, con il totale annuo da gennaio che piomba a -15%, e valori che – zavorrati da un prezzo medio spinto a +10% - scendono del 6%. Ancora negativa la performance nel Regno Unito (-13%), anche se in via di progressivo miglioramento, con deterioramento anche delle triangolazioni verso il Belgio (-8%). Tiene il mercato tedesco (+3%), mentre continua a viaggiare forte la Francia, a +14% volumico e +28% in termini di giro d’affari. In ripresa anche le spedizioni dirette verso la Russia, mentre all’appello mancano i volumi di Svizzera, Canada e Svezia, compensati dai forti aumenti registrati nell’Europa continentale, come Polonia, Austria e Repubblica Ceca.

Vini fermi confezionati

Gli altri “convalescenti” sono i vini fermi confezionati, scesi anch’essi non solo a volume, ma anche sulla parte valore (-3%), con prezzi medi sgonfiatisi progressivamente e planati a un modesto +2%. L’andamento per trimestri fotografa una prolungata sofferenza iniziata dalla metà dell’anno scorso, quando si è scesi in terreno negativo, terreno in cui ci si è impantanati fino a oggi (aprile-giugno -5%). Il secondo quarto di quest’anno regala il segno meno anche ai valori (-6%): l’ultima volta che si era andati sotto lo zero è sotto nel primo trimestre del 2021.

C’è ovviamente chi sta meglio e chi sta peggio: partiamo da questi ultimi, ovvero i vini rossi, che segnano un pesante -9% sulla colonna volume, generato da Germania (-11%), Usa (-15%), Svizzera (-5%), Canada (-18%), Giappone (-16%), Danimarca (-28%) e Svezia (-8%%) Tra i big positivi solo UK e Paesi Bassi, ma stiamo parlando di un modesto +2%, e la Francia, che fa +11%.

Per i bianchi, il calo volumico è frazionale (-0.9%), ma anche qui va segnalata la regressione del primo mercato e del secondo mercato, gli Usa (-6%) e la Germania (-2%), compensata dal robusto +8% del Regno Unito, la forte ripresa della Russia e la solita Francia.

A livello di categorie, i più stanchi sono i rossi Dop (-10% volume e -4% valore), con forti difficoltà per i piemontesi (-5%), i toscani (-16%, di cui -21% in Usa) e i veneti (-17%, di cui -33% in Canada e -27% in Germania). I bianchi a denominazione stanno a -5%, con valori stabili, ma anche qui si segnalano forti difficoltà per quelli veneti (Usa e UK -14%, Germania -12%, per un totale di -8%).

Sulla parte Igp, rossi a -8% mentre i bianchi vedono una timida crescita (+2%), che si fa via via più robusta per varietali e comuni.

In generale, a livello di Paesi, nella classifica dei grandi mercati di destinazione, i pochi segni positivi sono dati solo da UK (+6%) e Francia (+19%), mentre gli Usa chiudono a -10% volume e – dato ancor più preoccupante –6% valore, dato da prezzi medi planati a +4%. Negative anche la Germania (-7%) e la Svizzera (-3%), mentre tra i big le maggiori preoccupazioni sono date da Canada (-17%) e Danimarca (-26%).

Focus Usa: il destocking e il rientro a una dimensione più normale

In un panorama generale che racconta di un semestre chiuso in passivo (-1,4% volume), quello che incomincia a essere il vero problema per le cantine italiane è il loro principale mercato: gli Stati Uniti si sono completamente inchiodati, anzi, a giugno gli indicatori sono negativi sia per quanto riguarda gli spumanti (-17% volume), sia per quel che concerne i vini fermi, che indietreggiano a volume del 10%, con picchi di -15% per i rossi, contro un -6% dei bianchi. Il dato di giugno per i vini fermi riporta il volume ai livelli del 2020 e – guardando ancora più indietro – sulla soglia del milione di ettolitri, su cui si stazionava oltre dieci anni fa.

Non va meglio come detto per gli spumanti, e in particolare per il Prosecco, che rappresenta l’88% delle bollicine italiane spedite sul mercato. Il re però è quello oggi con i problemi più grossi: se a marzo i conti erano ancora - seppur moderatamente- positivi (+1.5%), nel secondo quarto le esportazioni sono crollate: -28%, con il totale annuo da gennaio che piomba a -15%, e valori che – zavorrati da un prezzo medio spinto a +10% - scendono del 6%.

A inizio anno – per motivare i cali che avevano sorpreso un po’ tutti – si era parlato di destocking, ovvero smaltimento di voluminose scorte fatte dagli importatori sull’onda dell’entusiasmo registrato nel corso di tutto il 2022. Ma ormai siamo a metà del 2023, e quelli partiti a giugno sono vini che arriveranno a destinazione – sul mercato – fra qualche mese, difficile pensare che si tratti ancora di smaltimento scorte. Piuttosto, c’è da pensare che il mercato stia entrando in una fase di riflessione, che coinvolge non solo l’Italia: eccettuati i neozelandesi, che presidiano la parte premium dello scaffale e che sono cresciuti ancora nel semestre (anche a valore, +30%), vistosi cali si registrano per tutti i principali fornitori. Dall’Australia (-18% sul segmento confezionato, “spiegato” anche da una crescita dell’11% sugli sfusi) ai sudamericani (Argentina -28% il confezionato e addirittura -90% sullo sfuso, Cile -70% sullo sfuso, accompagnato da -1% sui confezionati), per finire con gli spagnoli, in regressione sia sui vini fermi (-8%) che sugli spumanti (-4%), i tedeschi, sotto dell’11%, e i sudafricani (-2%).

Anche la Francia dimostra un andamento non brillantissimo: a volume, i cali sono maggiori sulla spumantistica (-27% rispetto al -6% dei vini fermi), mentre i prezzi medi stanno registrando incrementi piuttosto consistenti: +29% per Champagne e +15% gli still wines, che comunque a differenza delle bollicine riescono a mantenere il saldo della bilancia a valore in positivo (+8%).

Un conto – quello valoriale – che sta invece mancando totalmente alle etichette italiane: il complesso dei vini fermi è in passivo del 6% (580 milioni di euro), equamente distribuito tra bianchi e rossi, questi ultimi penalizzati da strappi sul prezzo troppo forti (+11%). Lo spumante perde quasi il 9% in termini monetari, anch’esso gravato da aumenti di prezzo ormai indigesti (+10%), con il Prosecco che lascia 15 punti percentuali in termini di volume e 6% sul fatturato.

Gli unici per ora ad avere un trend favorevole sono i frizzanti (quindi soprattutto Lambrusco), per i quali gli Usa rappresentano la seconda piazza a valore: nel semestre, volumi a +10% e valori a +11%, con prezzi medi tenuti forzatamente freddi (+1%).